LA
NOSTRA GRANDE SETTIMANA (scrive Maria)
Dopo
un anno di attesa e preparazione la grande settimana missionaria è
cominciata!
Nei
fatti, nella nostra parrocchia la settimana si sta ripetendo per ben
quattro volte: una per ogni comunitá. Il che significa un mese di
visite nelle case, di celebrazioni e festeggiamenti!
Che
dire: nella confusione tipicamente brasiliana e maranhense questo
grande evento, che costituisce il culmine del processo delle sante
missioni popolari, rappresenta per tutti una grande occasione di
festa e di allegria!
Nel
corso della settimana ogni giorno assume un significato evangelico
che si ricorda nelle varie celebrazioni e momenti comunitari, durante
i fine settimana in piccoli gruppi si passa di casa in casa, bussando
e proponendo di leggere un brano del Vangelo, un salmo o un testo
biblico.
Ma
il Maranhão e Cidade Olimpica ci insegnano un altro stile: qui
difficilmente le persone mettono in forse l’esistenza di Dio.
Dio
c'è, punto. Gesù è esistito, nemmeno metterlo in dubbio.
Condividere
quello che troviamo scritto nel Vangelo è una proposta perlopiù
accolta con una porta aperta: certo, non sempre è così automatico.
Ci sono alcuni appartenenti alle chiese evangeliche che non vogliono
proprio saperne, e cattolici non praticanti che di Bibbia neanche
parlarne.
La
nostra missione, comunque, mantiene sempre un buon sapore!
È
il sapore di camminare lungo le strade di questo enorme bairro
cantando e danzando, è il gusto dell’allegria che stiamo imparando
proprio qui dove i motivi per piangere sarebbero molto più numerosi.
È il piacere di incontrare persone che stanno aspettando una parola
di conforto, un annuncio di speranza o solo qualcuno con cui
scambiare una parola.
È
la gioia di condividere il tempo con le persone delle comunità
conoscendole meglio e apprezzando ciò che ognuno può dare.
Le
visite sono un motivo in più per avvicinarsi alle situazioni di
disagio spesso nascoste dietro le quattro mura: in molte case stiamo
conoscendo le storie di famiglie “imprigionate” perché il figlio
si droga, il marito beve, è violento oppure troviamo una persona
anziana o disabile lasciata sola o senza cure.
Qual
è la nostra presenza cristiana in queste situazioni di dolore?
Domandiamoci forte: cosa stiamo facendo noi? È molto più facile
celebrare tante messe nelle Chiese, chiudersi nel nostro gruppo e
pensare che la realtà, seppur triste, non la possiamo cambiare
perché appartiene al gioco del potere, dei grandi, di chi copre
ruoli e sta a capo delle istituzioni. Il rischio è forte ed è
quello di dimenticarsi l’esempio di Cristo che sempre metteva in
primo piano i piccoli e i sofferenti e che scelse come discepoli
persone semplici, del popolo.
Cantare
e pregare insieme li fa sentire più vicini: il pregiudizio sul
tossicodipendente, almeno per un momento, viene lasciato da parte
perché lui o lei diventano delle persone con una storia da
raccontare e una sofferenza da condividere.
Insomma,
non è proselitismo quello che con la gente stiamo cercando di fare:
è un tentativo di costruire nuove relazioni, di intessere reti
differenti da quelle a cui siamo abituati, di rompere le recinzioni
della paura, della solitudine, della desolazione.
Dobbiamo
proprio ammetterlo: stiamo imparando molte cose da questa Cidade
Olimpica e dalla sua gente, di fronte agli eventi crudi e dolorosi
così come nei momenti allegri e felici.
Forse
un giorno sapremo dirvi con parole chiare quello che la nostra
esperienza ci sta insegnando: per ora possiamo solo condividerne
alcuni stralci. Ma, come dice a ritmo di samba la canzone di
Gonzaguinha, continuiamo a pensare con sempre maggiore convinzione
che
“È
la vida, è bonita è bonita! Viver!
E não ter a vergonha / De ser feliz / Cantar e cantar e cantar / A
beleza de ser / Um eterno aprendiz!”
(è
la vita, è bella è bella! Vivere! E non vergognarsi di essere
felice. Cantare e cantare la bellezza di essere un continuo
apprendista!)