martedì 25 dicembre 2012

BUON NATALE!


Si avvicina il Natale: raggiunga ciascuno di voi, amici e parenti, il nostro augurio di un Natale vero e pieno di gioia!

“Ha fatto cadere dentro di me,
nel luogo più ignorato e più profondo,
una parola in cui palpita il mistero,
una parola nel mio grembo per donarla al mondo.
Come potrà uscire da me questa parola,
da me che non sono né grande né sapiente?
Ma lo Spirito Santo
– io sono la sua serva –
se vuole che nasca da me, metterà la sua mano.
La vergine Maria trabocca di felicità.
La vergine Maria si trova immersa
nella dolcezza di Dio.
I rovi sono in fiore
intorno al giardino
intorno alla mia gioia.”

Poesia di Marie Noël (1883-1967)



Ero carcerato e mi siete venuti a visitare” (scrive Maria)

Secondo  dati   ufficiali  al   giugno   del   2011   la   popolazione   carceraria   del   Brasile   era   di 496.251 carcerati, 40% dei quali provvisori, in attesa di giudizio: tra il 2000 e il 2010, il 
numero di carcerati in tutto il Paese è raddoppiato di numero.
Nel Maranhão la stima è di circa 6.000 detenuti; le cause principali di detenzione sono, in  ordine: spaccio di droga, furto e assalto, uso di armi e omicidio.

Una cosa è certa: la sovrappopolazione carceraria rimane una realtà in tutto il Brasile, e le condizioni a cui sono costretti a vivere detenuti e detenute sono, il più delle volte disumane e impietose.

È molto recente la dichiarazione del ministro della giustizia Josué Eduardo Cardozo che, parlando delle condizioni del sistema penitenziario brasiliano, ha detto: “preferirei morire piuttosto che scontare la pena in alcuni presidi brasiliani, dove persone sono accalcate senza nessuna dignità, vivendo tra le feci, subendo aggressioni e senza i diritti umani rispettati”.

Risale al 2008 la CPI (Commissão Parlamentar de Inquérito - Commissione Parlamentare d’inchiesta   )   promossa   dal   governo   federale   per   verificare   la   situazione   delle   carceri brasiliane:   corruzione,   impunità,   crimine   organizzato   all’interno   stesso   delle   carceri, violazione dei diritti umani basilari sono alcuni degli elementi rilevati durante gli otto mesi di attività della Commissione (1)

Nel 2011 Amnesty International denunciava ancora l’utilizzo di pratiche di tortura da parte di forze dell’ordine e di funzionari all’interno delle carceri e delle stazioni di polizia, al momento dell’arresto, durante gli interrogatori e lungo il periodo di detenzione.
In generale si può affermare che il problema del sistema penitenziario, pur essendo al centro di molti discorsi, rimanga, a tutti gli effetti, ai margini degli impegni politici e degli interessi della società.

E “ai margini”, effettivamente,   os   presos   (“i   presi”   ossia   i   detenuti)   lo   sono    anche fisicamente: il carcere di São Luis, per esempio, si trova a 15 kilometri dal centro, lungo la strada  che  conduce  fuori dell’isola, in  un’area di  122  ettari dove   è stato  costruito  un complesso che riunisce in pochi kilometri quadrati la maggioranza dei centri di detenzione di tutto lo Stato. È il famoso “Complexo de Pedrinhas”.

Quando ho iniziato a visitare il presidio femminile con il gruppo di Pastorale Carceraria non sapevo bene cosa mi sarebbe aspettato, cosa avrei dovuto fare o dire.
Non sapevo cosa mi spingeva a farlo: forse la voglia di conoscere una realtà nuova, forse il   desiderio di avvicinarmi per capire se il reo di crimine è spaventoso come ce lo figuriamo. Forse, semplicemente, la curiosità di vedere come sia possibile sopravvivere privati della libertà: difficile per chiunque immaginare una vita rinchiusa tra quattro mura, vedendo il sole   attraverso le grate anche durante l’ora d’aria e pensare che questa condizione possa durare mesi e anni.



-Il complesso di Pedrinahs come appare dall'esterno -

Nella testa avevo i racconti delle gente: le storie della ribellione successa un paio di anni fa  all’interno  del  carcere maschile, le descrizioni  delle  donne  costrette  a  perquisizioni vessatorie quando visitano i parenti, i pregiudizi nei confronti del carcere, recipiente dei peggiori delinquenti e “scarti della società”. Insomma, nulla di buono: “meglio che restino là dove non li possiamo vedere!”.
Quello che ho incontrato, nei fatti, sono state persone con una vita nel mondo fuori, e costrette   a convivere in uno spazio ristretto con gente mai conosciuta prima per ventiquattro ore al giorno: donne con una storia, dei figli, una famiglia.
Anche se, per fortuna, le condizioni abitative non sono pessime e disumane come in altri presidi, le storie che ascoltiamo sono sempre di sofferenza, sono parole tristi, a volte angosciate. 

Il sistema progressivo di esecuzione della pena, rende la possibilità di abbreviare il tempo di   detenzione   una   speranza   che   incentiva   molte   a   partecipare   delle   poche   attività promosse dalla direzione e a mantenere una buona condotta: ciò nonostante, il tempo in un carcere trascorre sempre lento e, vista la precarietà di vita dentro di una cella, gli stati d’animo negativi, la disperazione e lo sconforto bussano alla porta quasi tutti i giorni.
Nonostante il proposito di cambiare condotta per non finirci di nuovo in un posto come quello, alcune, purtroppo, in carcere ci sono già passate più di una volta: d’altronde, è proprio il contesto sociale in cui vivono e al quale ritornano, che induce, nella prevalenza dei casi a compiere il crimine (spesso legato allo spaccio di droga e sostanze stupefacenti) e a ricaderci nel giro di poco tempo. 
Sono persone, il più delle volte, già escluse dai cosiddetti circoli sociali nel mondo esterno, di   estrazione sociale bassa, povera, poco o per nulla scolarizzata,  spesso afro-discendente.
Nell’ala delle “provvisorie”, ad esempio, la maggioranza delle donne è in attesa da mesi di una sentenza (il tempo massimo dovrebbe essere di tre mesi): molte si affidano alla difesa d’ufficio   perché pagare un avvocato è privilegio solo  di chi può permetterselo e già sappiamo che chi i soldi ce li ha, di solito, in carcere non ci finisce nemmeno.
Quelle che facciamo sono visite semplici: una chiacchiera, una canzone, alle volte la celebrazione della Messa. 
Gli incontri avvengono durante il  banho de sol  (l’ora d’aria): metà delle donne, di solito, può uscire dalle celle, mentre le altre restano “dentro”.
La nostra è una presenza poco rumorosa, discreta: ascoltare una storia, dire una parola di conforto, dare un abbraccio durante un momento difficile ma essere anche un sostegno, informarsi dall’assistente sociale del perché una ragazza detenuta non è stata ancora visitata dal medico, portare uno spazzolino o dei vestiti a chi non sta ricevendo visite dei parenti. Tutte piccole azioni che, però, possono fare la differenza.

In tutto ciò quello che sto cercando di imparare è un nuovo modo di prendermi cura delle persone  che  incontro, senza  porre troppo l’attenzione  su quello che di male abbiano compiuto ma guardando con occhi diversi donne e ragazze che, nella loro vulnerabilità, stanno passando attraverso sofferenze e difficoltà.

Commettere un crimine e infrangere la legge richiede un risarcimento, un pagamento alla società: non è semplice superare l’ostacolo del preconcetto che riguarda un detenuto. 
Porre l’attenzione sulla persona  prima che sul crimine che ha commesso non è un passaggio facile né immediato: in qualche modo e in certi momenti la legge de taglione prende il sopravvento nei nostri ragionamenti. 
“Andare oltre” l’azione compiuta per guardare la storia, la vicenda umana, i sentimenti della persona che, nella maggioranza delle volte, coltiva un’immagine di sé negativa e autodistruttiva significa, prima di tutto, riporre fiducia in lei credendo che un futuro diverso e migliore può essere contemplato.
La Pastorale Carceraria, per quanto riconosciuta e rispettata, non è che un piccolo colibrì che tenta di spegnere un incendio: eppure con la sua presenza costante e fedele nelle carceri deve continuare ad affermare che compimento della pena non significa solo esecuzione di un castigo(2). 

Il periodo di detenzione dovrebbe trasformarsi in una possibilità effettiva di redenzione e educazione per queste persone: e il carcere, così come è pensato, è molte volte solo luogo privilegiato per formare delinquenti e criminali.
Mi piacciono le parole che ho letto poco tempo fa in un libro che affrontava l’argomento del sistema penitenziario: “È al cuore del delinquente che, per guarirlo, dobbiamo arrivare(…) La mancanza di amore non si riempie se non con l’amore. L’amore con l’amore si paga. La cura di cui il prigioniero ha bisogno è una cura di amore”.

(1) se qualcuno fosse interessato può guardare:
      http://www.youtube.com/watch?v=uKD0s0Qhxd4
(2) la storia racconta che un giorno nella foresta scoppiò un incendio talmente vasto che nessuno riusciva a spegnerlo: il colibrì, pur nella sua piccolezza, cominciò a volare dalla cascata al fuoco trasportando semplici gocce d’acqua. Il suo coraggio fu esempio per il resto degli animali a fare la loro   parte   e   a   salvare,   infine,   la   foresta.   L’insegnamento   è   che   non   importa   se   l’incendio   si spegnerà, l’importante è fare tutto quel che è possibile perché questo avvenga.

ARRIVEDERCI CAROLINA!


Questa è l’ultima newsletter insieme: tra poco più di un mese avrà termine il mio tempo brasiliano. 
In questo periodo sono molti i pensieri e i sentimenti che si mescolano e si alternano. Sto   continuando   a   vivere,   gustandomi   questi   giorni   e lasciando i bilanci ai prossimi mesi quando mente e cuore saranno, forse,  più tranquilli.
Già so che mi mancheranno: le persone conosciute qui, i loro sorrisi, i loro abbracci e la natura esuberante, il raccogliere “manga” durante le  visite di Pastorale da Criança; la musica che ascolta Maria che riempie la casa e la fa sentire viva; i saluti ad alta voce; il condividere la Fede con persone che hanno voglia di capire e di crescere; l’entusiasmo, la capacità di far festa e molte altre cose belle che ho imparato ad amare. 
Per concludere, un grazie a chi mi ha accompagnato leggendo questi scritti, dimostrando interesse e vicinanza, nonostante fossimo separati da un oceano! Um abraço
                                                                                                            
                                                                               Carolina






domenica 16 settembre 2012

Cidade olimpica con gli altri sensi!! (scrive Carolina)

Al termine del mese di Sante Missioni Popolari, dopo un’abbuffata di musica, di parole, di abbracci di strette di mano, di folla e confusione, Maria è partita per l’Italia.
Io ho scelto di vivere questo tempo gustandomi anche un po’ di “solitudine”: , pur essendo quasi impossibile qui nel Maranhão, ho cercato, comunque, un po’ di silenzio e di tranquillità.
Questo mi ha permesso di rendermi conto che nelle mie newsletter ho sempre raccontato le cose che vedo dimenticandomi spesso di tutti gli altri sensi.

Udito
Cidade olimpica è una grosso quartiere di periferia e qui non c’è mai silenzio: c’è sempre un cane che abbaia; qualcuno come il nostro vicino Reginaldo che grida un saluto all’amico che passa per strada; ci sono gli autobus che passano nell’orario di servizio oltre a quelli che nella notte passano vicino alla nostra casa per andare o uscire dal deposito che si trova qui a pochi passi.
C’è sempre anche il pianto di un bambino, il raglio di un asino ed il fischio delle rane: ebbene si, non ho scritto male, qui le rane fischiano!
Nel fine settimana o nei giorni festivi c’è come si può ben immaginare anche la “radiola” (grossi impianti acustici fissi o sulle automobili) per ascoltare musica regge o di altro genere fino a notte fonda.
La sera si può sentire anche il piacevole rumore degli uomini della nostra via che giocano a domino in strada e che, come mio nonno giocando a briscola, sbattono i pezzi su di un tavolo improvvisato.
Ci sono fortunatamente oasi di pace anche qui, soprattutto nella sempre particolare Santana e nel vicino São Brás dove i rumori della città faticano ad arrivare e con il buio scende anche una sorta di calma e silenzio che avvolge e che invita a  guardare il cielo e ad ascoltare il vento.

Olfatto
Cidade Olimpica è anche molto ricca di odori e profumi, alcuni sono molto piacevoli e sono legati soprattutto alle persone che qui si curano molto, utilizzano creme, profumi e sono molto sensibili agli odori.
Già nel corso della mattina, poi, si possono sentire anche i profumi del pranzo che si sta cucinando.
Gli odori, a volte veramente terribili, sono dati soprattutto dalla mancanza di fognature e dalle immondizie che rimangono spesso abbandonate lungo le strade.
Una cosa curiosa è una delle espressioni di affetto soprattutto delle madri nei confronti dei figli o dei bambini in genere, si chiama “cheiro” in pratica si tratta si annusare il bambino ma non di nascosto, come verrebbe forse da pensare, ma mostrandolo e facendo rumore con il naso.

Gusto
Una delle prime attività che ci siamo concesse all’inizio della nostra esperienza è stato il corso di cucina maranhense, che ci ha permesso, oltre naturalmente ai diversi inviti per compleanni, pranzi di comunità, ecc, di assaggiare e di provare sapori nuovi. Alcuni forti e decisi come le diverse spezie ed erbe aromatiche ed altri più delicati come alcuni tipi di frutta o il riso.
Adoro una ricetta in particolare la torta di gamberetti, una sorta pasticcio senza la pasta ma fatto con le uova e che viene cucinato in forno, buonissimo!

Tatto
Pensando a questo senso mi piace sottolineare in primo luogo la nota fisicità delle persone che utilizzano molto l’abbraccio non solo in situazioni particolari ma semplicemente per scambiarsi un saluto.
Inoltre, si nota una grande passione soprattutto delle donne per i lavori manuali: dal riciclo di materiali vari, al ricamo, all’uncinetto per finire con il mitico EVA (materiale plastico morbido) con il quale producono proprio di tutto. (vedi foto)
Per le donne questi lavoretti sono spesso occasione di integrare la rendita familiare ma non solo, adorano dedicarsi a queste cose e si sentono gratificate nel mostrare le loro opere.



i giovani di Verona in visita alla
missione di São Luis
il vescovo in visita alle comunitá parrocchiali

sabato 9 giugno 2012


LA NOSTRA GRANDE SETTIMANA (scrive Maria)

Dopo un anno di attesa e preparazione la grande settimana missionaria è cominciata!
Nei fatti, nella nostra parrocchia la settimana si sta ripetendo per ben quattro volte: una per ogni comunitá. Il che significa un mese di visite nelle case, di celebrazioni e festeggiamenti!
Che dire: nella confusione tipicamente brasiliana e maranhense questo grande evento, che costituisce il culmine del processo delle sante missioni popolari, rappresenta per tutti una grande occasione di festa e di allegria!
Nel corso della settimana ogni giorno assume un significato evangelico che si ricorda nelle varie celebrazioni e momenti comunitari, durante i fine settimana in piccoli gruppi si passa di casa in casa, bussando e proponendo di leggere un brano del Vangelo, un salmo o un testo biblico.
Piuttosto imbarazzante a pensarlo in italiano, lo ammetto. Porte chiuse in faccia, volti estraniati e dubitanti ci accoglierebbero: e, probabilmente, non sarebbe questa la modalitá più appropriata con cui far entrare il Vangelo nelle case.
Ma il Maranhão e Cidade Olimpica ci insegnano un altro stile: qui difficilmente le persone mettono in forse l’esistenza di Dio.
Dio c'è, punto. Gesù è esistito, nemmeno metterlo in dubbio.
Condividere quello che troviamo scritto nel Vangelo è una proposta perlopiù accolta con una porta aperta: certo, non sempre è così automatico. Ci sono alcuni appartenenti alle chiese evangeliche che non vogliono proprio saperne, e cattolici non praticanti che di Bibbia neanche parlarne.
La nostra missione, comunque, mantiene sempre un buon sapore!
È il sapore di camminare lungo le strade di questo enorme bairro cantando e danzando, è il gusto dell’allegria che stiamo imparando proprio qui dove i motivi per piangere sarebbero molto più numerosi. È il piacere di incontrare persone che stanno aspettando una parola di conforto, un annuncio di speranza o solo qualcuno con cui scambiare una parola.
È la gioia di condividere il tempo con le persone delle comunità conoscendole meglio e apprezzando ciò che ognuno può dare.
Le visite sono un motivo in più per avvicinarsi alle situazioni di disagio spesso nascoste dietro le quattro mura: in molte case stiamo conoscendo le storie di famiglie “imprigionate” perché il figlio si droga, il marito beve, è violento oppure troviamo una persona anziana o disabile lasciata sola o senza cure.
Qual è la nostra presenza cristiana in queste situazioni di dolore? Domandiamoci forte: cosa stiamo facendo noi? È molto più facile celebrare tante messe nelle Chiese, chiudersi nel nostro gruppo e pensare che la realtà, seppur triste, non la possiamo cambiare perché appartiene al gioco del potere, dei grandi, di chi copre ruoli e sta a capo delle istituzioni. Il rischio è forte ed è quello di dimenticarsi l’esempio di Cristo che sempre metteva in primo piano i piccoli e i sofferenti e che scelse come discepoli persone semplici, del popolo.
Con questa intenzione, quindi, stanno avvenendo anche le visite ai luoghi “lontani”: ai bar e ai locali notturni, che qui sono, realmente, luoghi di alienazione e non di semplice svago; alla “feira”, ossia al mercato che, di notte, diventa il ritrovo di giovani e adulti perlopiù dipendenti della droga e dell’alcool.
Cantare e pregare insieme li fa sentire più vicini: il pregiudizio sul tossicodipendente, almeno per un momento, viene lasciato da parte perché lui o lei diventano delle persone con una storia da raccontare e una sofferenza da condividere.
Insomma, non è proselitismo quello che con la gente stiamo cercando di fare: è un tentativo di costruire nuove relazioni, di intessere reti differenti da quelle a cui siamo abituati, di rompere le recinzioni della paura, della solitudine, della desolazione.

Dobbiamo proprio ammetterlo: stiamo imparando molte cose da questa Cidade Olimpica e dalla sua gente, di fronte agli eventi crudi e dolorosi così come nei momenti allegri e felici.
Forse un giorno sapremo dirvi con parole chiare quello che la nostra esperienza ci sta insegnando: per ora possiamo solo condividerne alcuni stralci. Ma, come dice a ritmo di samba la canzone di Gonzaguinha, continuiamo a pensare con sempre maggiore convinzione che
È la vida, è bonita è bonita! Viver! E não ter a vergonha / De ser feliz / Cantar e cantar e cantar / A beleza de ser / Um eterno aprendiz!”
(è la vita, è bella è bella! Vivere! E non vergognarsi di essere felice. Cantare e cantare la bellezza di essere un continuo apprendista!)

lunedì 28 maggio 2012

IL PROGETTO PEO



Maria racconta un po' del progetto PEO della fondazione JPA di rinforzo scolastico con i bambini delle scuole elementari

sabato 7 aprile 2012

“SONO A CASA” (scrive Carolina)

Un po’ di tempo fa chiacchierando al telefono con un’amica ho avuto l’occasione di fare una riflessione; alla semplice domanda: dove sei? Ho risposto a casa e lei subito mi ha chiesto per quanto tempo rimanevo in Italia; io, con un sorriso, le ho risposto che ero nella casa nella quale vivo ma in Brasile!
Per qualcuno può essere strano ma per me ora casa è qui: con le persone e nella realtà dove sono inserita.
Casa? Credo sia difficile definire tutto ciò che ciascuno intende con questa parola, così breve ma tanto ricca di emozioni e significati.
Per le persone che abitano qui, ad esempio, è solo un luogo dove dormire visto che trascorrono la maggior parte della loro vita fuori di casa, aiutati da un clima caldo che invita a stare “fuori”.
Non essendoci bisogno che la casa ripari dal freddo è anche costruita in modo semplice e le sue caratteristiche principali sono: la praticità e la rapidità di costruzione. Soprattutto in Cidade Olimpica, inoltre, è difficile trovare case vuote, c’è sempre qualcuno che se ne sta occupando: qualcuno della famiglia o magari un vicino.
Per questo non si deve avvertire o telefonare prima di andare a fare una visita a qualcuno come succede in Italia. Non ci sono campanelli, se non nelle case più “ricche”, (o di preti e suore!) ma per annunciarsi si battono le mani fuori dalla porta e si aspetta che qualcuno si faccia vivo.
Le persone sempre apprezzano di ricevere una visita e non ci deve essere un particolare motivo per far visita ad una persona, basta solo la voglia di far due chiacchiere.
Date queste premesse, la visita in casa è per noi anche una modalità di lavoro: in ogni progetto della Fondazione JPA, di cui facciamo parte, sono previste visite regolari ma si visita in casa anche per raccogliere le iscrizioni o per pubblicizzare le diverse iniziative. Nelle attività della Parrocchia, soprattutto ora con le Sante Missioni Popolari, la visita in casa è anche una modalità di annuncio del Vangelo oltre che d’incontro con le persone.
In Italia, come ben sapete, la visita in casa è molto più “timida”, è fatta se c’è un motivo ben preciso, di solito è programmata o su invito. Chissà se, quando tornerò, riuscirò a ricordarmi di tutte queste regole?? O forse anche lì ricevere una visita per far due chiacchiere potrebbe diventare un modo per far nascere e crescere relazioni o magari annunciare il Vangelo.
In questo periodo ho avuto tempo e motivi per pensare alla mia vita a Cidade Olimpica e credo di aver camminato con gioie e fatiche ma con l’obiettivo di andare incontro alle persone. Già prima di partire era chiaro che l’aspetto fondamentale dell’esperienza e della presenza qui sarebbe stato quello della relazione e non tanto quello dell’azione ma posso dire che è uno stile da scegliere ogni giorno e da vivere nei diversi impegni, non basta averlo capito al momento della partenza.
Il primo periodo è stato difficile e spesso mi ha fatto sentire persa tra strade, persone e soprattutto parole sconosciute. Il sentirsi persi, come si può ben immaginare, non è una bella sensazione ma se la si accoglie e al tempo stesso la si affronta credo permetta di fare interessanti scoperte: riguardo alle nostre capacità ed energie ma anche riguardo la disponibilità e le risorse dell’altro con il quale entriamo in relazione.
In Brasile in misura maggiore rispetto alle esperienze precedenti, ho avuto modo di sperimentare concretamente l’importanza dell’altro: sia dei membri dell’equipe missionaria (Maria, Francesca, Damiano, Isacco, e i padri) sia delle donne, degli uomini e dei bambini con i quali ogni giorno entro in contatto.
A questo proposito credo interessante la riflessione di un teologo laico che si occupa di missioni, Luca Moscatelli, che, riprendendo la lettera di san Paolo ai Corinzi (1 Cor 12,7-11) sottolinea la diversità come elemento fondante della comunità, mentre l’unità ne è il punto d’arrivo.
Ecco quello che scrive a riguardo:
E infatti subito dopo aver richiamato la radice comune ecco che Paolo comincia a distinguere: a uno dona questo, a un altro questo, a un altro quest’altro. A ciascuno qualcosa che è suo e che lo rende appunto unico e in qualche modo insostituibile. E lo Spirito fa questo come vuole, non come vorremmo noi. Lo vuole dare a un laico? Ebbene lo fa. A una donna? Fa anche questo. A noi è chiesto di apprezzare e godere i vantaggi di questa scelta. E’ ben strana questa scelta di Paolo e deve davvero essere un punto importante se l’apostolo, a una comunità divisa in partiti, ricorda la diversità. […]ma una diversità di persone dove ciascuno è unico e insieme utile. Non è la diversità di chi tende a imporsi (tutti come noi / come me), ma quella che chiede di essere vissuta nel rispetto e nella valorizzazione reciproca” (Luca Moscatelli “Urgenze, Povertà, Conversioni”).
Per concludere, quindi, prendo in prestito questa idea di Moscatelli: il mio cammino qui è iniziato percependo e vivendo fin da subito la diversità con le sue gioie e le sue fatiche ma mi piace pensare di aver come meta l’unità, che forse non si realizzerà totalmente ma sarà un buon obiettivo da portare con me anche in futuro.




Arriva Pasqua
e la nostra gioia è grande:
il sepolcro vuoto, non più luogo di morte,
diventa il simbolo di una Vita nuova
che vede la luce laddove sembra regnare solo il buio.
Che in quell’alba di giorno nuovo, anche noi,
insieme con Maria e i discepoli,
finalmente possiamo credere che,
aldilà della sofferenza e del dolore,
dentro il grido di disperazione di molti,
ci sono la Vita e la speranza.

Che noi tutti oggi possiamo sentirci amati
nella certezza di non essere soli!


Felice Pasqua!






lunedì 2 aprile 2012

ISTRUZIONE COSA AMMIREVOLE? (scrive Maria)

Mi è tornato alla mente in questi ultimi giorni un aforisma di Oscar Wilde a cui sono affezionata fin dai tempi dell’adolescenza quando l’istituzione scolastica creava non pochi problemi di accettazione agli occhi di una, allora,  diciassettenne che criticava i fondamenti di un’istruzione spesso nozionistica e sterile, legata più ai risultati che non ai processi di apprendimento.
Quel che diceva il noto scrittore è che l’istruzione è una cosa ammirevole, ma che è bene,  di tanto in tanto, ricordare che nulla di ciò che vale la pena di sapere nella vita può essere realmente insegnato.
In Cidade Olimpica nelle due maggiori scuole di “ensino fundamental” (scuole elementari) del municipio ancora non sono cominciate le lezioni che sarebbero dovute partire il giorno 30 di gennaio, piú di sessanta giorni fa.
Le motivazioni addotte sono molte e scaricano la colpa ora allo sciopero dei professori stanchi delle condizioni di lavoro, delle strutture fatiscenti, delle classi sovraffollate, degli stipendi bassi che arrivano ogni tre, quattro mesi, ora alla politica disinteressata del “prefeito” (il sindaco) che non accetta nemmeno di sedersi al tavolo di trattativa con il sindacato dei lavoratori e che appare del tutto disinteressato all’argomento preferendo sviare il denaro in operazioni che garantiscano più visibilità politica in vista delle vicine elezioni.
Facendo una piccola ricerca circa i dati di funzionamento delle scuole municipali in Cidade Olimpica durante lo scorso anno scolastico (febbraio-novembre 2011) con il gruppo del Cepa (Centro di Ascolto e di Primo Accompagnamento) della Fondazione JPA, abbiamo calcolato che in una sede staccata di una di esse le lezioni effettive hanno coperto solo tre mesi (sugli otto previsti) con un monte orario ridotto: le motivazioni riportate dalla direttrice sono per lo più legate alle carenze strutturali, all’assenza dei professori e, addirittura, al mancato pagamento dell’affitto dell’edificio.
Sempre durante lo scorso anno ho avuto la possibilità di collaborare come volontaria nella “sala de recurso” (l’aula di sostegno) di una scuola municipale di Cidade Olimpica con gli alunni portatori di disabilità: per loro sarebbe assicurata una professoressa (che non sempre è presente) ma nella completa assenza di materiale e di spazio adeguato per svolgere le attività. Per gli altri alunni la situazione cambia di poco: aule sovraffollate con un professore responsabile di quaranta e più alunni, ambienti spesso caldissimi, acqua che a giorni alterni manca, insegnanti spesso disinteressati o semplicemente stufi delle condizioni di lavoro.
Risultato: solo pochi alunni vanno tutti i giorni a scuola e ancora di meno possono dire di uscire con un bagaglio culturale almeno sufficiente per accedere alla scuola superiore e poi all’università.
In tutta questa confusione le famiglie sembrano a volte annegare, barcamenandosi in qualche modo perché il figlio possa avere un’istruzione minima: ma i corsi di “reforço” (lezioni di ripetizione) spesso sono privati e a pagamento e, non sempre, sono gestiti da personale adeguatamente formato e capace.
Altri genitori si disinteressano dell’argomento ritenendo quasi normale che il figlio vada a scuola qualche giorno a settimana, che la scuola non sia ancora cominciata senza previsioni di apertura, che, per mancanza di manutenzione, l’acqua venga a mancare con la conseguente chiusura della struttura.
Di fronte a tutto questo si può, certo, continuare ad affermare, come dice Oscar Wilde, che le cose importanti nella vita si imparano con l’esperienza ma non possiamo esimerci dal porci una domanda fondamentale: quale futuro avranno questi bambini? In un Brasile che continua a crescere e a svilupparsi quale posto avranno questi uomini e donne del futuro? Quale opzione avranno di riscattarsi dalla situazione di povertà in cui sono nati?
Perché l’istruzione sia una cosa ammirevole deve essere accessibile a tutti partendo da  buoni livelli di preparazione degli insegnati e da una struttura che ponga come valore primario lo sviluppo del bambino: qui, spesso, questo sembra essere ancora un sogno. 
Noi speriamo che diventi quello di molti e che le cose finalmente, possano cambiare.

mercoledì 22 febbraio 2012

PER UN FELICE 2012! (scrive Maria)


Que, depois de tanta maravilha que anda realizando, a humanidade não se divida em blocos,
não se arme como nunca, não brinque com forças que amanhã poderão
arrasar a terra.
Que, ao invés de tanto medo e de tanto sobressalto,o homem saiba que, nos momentos mais difíceis, na escuridão mais escura, na noite mais noite,
há o começo de uma luz... Que o homem, meu irmão de grandeza e de miséria, reencontre a esperança!”
(dom Helder Câmara)
Che, oltre alle tante meraviglie che sta realizzando, l'umanità non si divida in blocchi,
non si armi all'inverosimile, non giochi con forze che un domani potranno
radere al suolo la terra.
Che, invece di tanta paura e di tanto spavento, l'uomo sappia che, nei momenti più difficili, nel buio più buio, nella notte piú notte,
ha inizio una luce...
Che l'uomo, mio fratello di grandezza e di miseria, ritrovi la speranza!”
(dom Helder Câmara)

Invece di tante parole desidero, in questa lettera, semplicemente augurare a tutti un felice 2012 condividendo una frase tratta dal discorso pronunciato da dom Helder Câmara nel giorno del suo ingresso come arcivescovo nell'Arcidiocesi di Olinda-Recife (Pernambuco).
Le sue parole vengono pronunciate nel 1964: sono gli anni del Concilio Vaticano II, il Brasile sta entrando nella dittatura che si protrarrà per vent'anni durante cinque governi militari, il nord-est è già tristemente famoso per essere la regione più povera del Paese.
Aldilà del periodo storico in cui si inseriscono, credo, comunque, che esse rimangano ancora oggi estremamente attuali e che l'augurio di ritrovare la speranza sia sempre più urgente nel contesto sociale così come nelle nostre vite di tutti i giorni.

Che la positività di pensiero e lo sguardo ottimista con cui dom Helder guarda all'uomo e alle sue capacità siano anche nostri.
Che la paura non ci renda ciechi e non ci faccia sentire soli di fronte alle difficoltà e alle situazioni in cui non vediamo una via di uscita ma ci spinga, invece, alla ricerca di un incontro e di un confronto.
Che tutti noi possiamo sentirci sempre più parte di una unica umanità, fratelli, al di qua e al di là dell'Oceano, di grandezza e di miseria.

Che il 2012 ci veda speranzosi e fiduciosi!

con i nostri genitori

giovedì 26 gennaio 2012

PROGETTO SPORTIVO - LA "CAPOEIRA"



La fondazione JPA propone all'interno del progetto sportivo con i bambini del bairro anche la capoeira (arte brasiliana nata tra gli schiavi negri che unisce elementi di danza a quelli della lotta): ecco alcune immagini dell'attività svolta nella comunità di Santa Luzia.

lunedì 23 gennaio 2012

LA "PASTORAL DA CRIANÇA "



Nata  nel  1983,  dall’impegno  della  dott.ssa  Zilda  Arns  Neumann  e  con  l’appoggio  della Conferenza nazionale dei Vescovi Brasiliani (CNBB), la Pastorale si occupa della salute, della nutrizione e dell’educazione dei bambini dal concepimento ai sei anni di vita. 
I  suoi  obiettivi  sono:  favorire  la  crescita  e  lo  sviluppo  integrale  del  bambino,  il miglioramento  della  qualità  di  vita  delle  famiglie;  per  questo,  la  Pastoral  è  presente principalmente  nelle  periferie  delle  grandi  città  e  nei  centri  rurali,  dove  maggiore  è  la povertà.
Le attività a favore dei bambini e delle gestanti sono svolte da volontari chiamati “líder” che vivono all’interno delle singole comunità: è attraverso il volontariato e una struttura agile e semplice che si riesce a realizzare una importante azione di solidarietà e di cittadinanza a costi molto bassi.