sabato 7 aprile 2012

“SONO A CASA” (scrive Carolina)

Un po’ di tempo fa chiacchierando al telefono con un’amica ho avuto l’occasione di fare una riflessione; alla semplice domanda: dove sei? Ho risposto a casa e lei subito mi ha chiesto per quanto tempo rimanevo in Italia; io, con un sorriso, le ho risposto che ero nella casa nella quale vivo ma in Brasile!
Per qualcuno può essere strano ma per me ora casa è qui: con le persone e nella realtà dove sono inserita.
Casa? Credo sia difficile definire tutto ciò che ciascuno intende con questa parola, così breve ma tanto ricca di emozioni e significati.
Per le persone che abitano qui, ad esempio, è solo un luogo dove dormire visto che trascorrono la maggior parte della loro vita fuori di casa, aiutati da un clima caldo che invita a stare “fuori”.
Non essendoci bisogno che la casa ripari dal freddo è anche costruita in modo semplice e le sue caratteristiche principali sono: la praticità e la rapidità di costruzione. Soprattutto in Cidade Olimpica, inoltre, è difficile trovare case vuote, c’è sempre qualcuno che se ne sta occupando: qualcuno della famiglia o magari un vicino.
Per questo non si deve avvertire o telefonare prima di andare a fare una visita a qualcuno come succede in Italia. Non ci sono campanelli, se non nelle case più “ricche”, (o di preti e suore!) ma per annunciarsi si battono le mani fuori dalla porta e si aspetta che qualcuno si faccia vivo.
Le persone sempre apprezzano di ricevere una visita e non ci deve essere un particolare motivo per far visita ad una persona, basta solo la voglia di far due chiacchiere.
Date queste premesse, la visita in casa è per noi anche una modalità di lavoro: in ogni progetto della Fondazione JPA, di cui facciamo parte, sono previste visite regolari ma si visita in casa anche per raccogliere le iscrizioni o per pubblicizzare le diverse iniziative. Nelle attività della Parrocchia, soprattutto ora con le Sante Missioni Popolari, la visita in casa è anche una modalità di annuncio del Vangelo oltre che d’incontro con le persone.
In Italia, come ben sapete, la visita in casa è molto più “timida”, è fatta se c’è un motivo ben preciso, di solito è programmata o su invito. Chissà se, quando tornerò, riuscirò a ricordarmi di tutte queste regole?? O forse anche lì ricevere una visita per far due chiacchiere potrebbe diventare un modo per far nascere e crescere relazioni o magari annunciare il Vangelo.
In questo periodo ho avuto tempo e motivi per pensare alla mia vita a Cidade Olimpica e credo di aver camminato con gioie e fatiche ma con l’obiettivo di andare incontro alle persone. Già prima di partire era chiaro che l’aspetto fondamentale dell’esperienza e della presenza qui sarebbe stato quello della relazione e non tanto quello dell’azione ma posso dire che è uno stile da scegliere ogni giorno e da vivere nei diversi impegni, non basta averlo capito al momento della partenza.
Il primo periodo è stato difficile e spesso mi ha fatto sentire persa tra strade, persone e soprattutto parole sconosciute. Il sentirsi persi, come si può ben immaginare, non è una bella sensazione ma se la si accoglie e al tempo stesso la si affronta credo permetta di fare interessanti scoperte: riguardo alle nostre capacità ed energie ma anche riguardo la disponibilità e le risorse dell’altro con il quale entriamo in relazione.
In Brasile in misura maggiore rispetto alle esperienze precedenti, ho avuto modo di sperimentare concretamente l’importanza dell’altro: sia dei membri dell’equipe missionaria (Maria, Francesca, Damiano, Isacco, e i padri) sia delle donne, degli uomini e dei bambini con i quali ogni giorno entro in contatto.
A questo proposito credo interessante la riflessione di un teologo laico che si occupa di missioni, Luca Moscatelli, che, riprendendo la lettera di san Paolo ai Corinzi (1 Cor 12,7-11) sottolinea la diversità come elemento fondante della comunità, mentre l’unità ne è il punto d’arrivo.
Ecco quello che scrive a riguardo:
E infatti subito dopo aver richiamato la radice comune ecco che Paolo comincia a distinguere: a uno dona questo, a un altro questo, a un altro quest’altro. A ciascuno qualcosa che è suo e che lo rende appunto unico e in qualche modo insostituibile. E lo Spirito fa questo come vuole, non come vorremmo noi. Lo vuole dare a un laico? Ebbene lo fa. A una donna? Fa anche questo. A noi è chiesto di apprezzare e godere i vantaggi di questa scelta. E’ ben strana questa scelta di Paolo e deve davvero essere un punto importante se l’apostolo, a una comunità divisa in partiti, ricorda la diversità. […]ma una diversità di persone dove ciascuno è unico e insieme utile. Non è la diversità di chi tende a imporsi (tutti come noi / come me), ma quella che chiede di essere vissuta nel rispetto e nella valorizzazione reciproca” (Luca Moscatelli “Urgenze, Povertà, Conversioni”).
Per concludere, quindi, prendo in prestito questa idea di Moscatelli: il mio cammino qui è iniziato percependo e vivendo fin da subito la diversità con le sue gioie e le sue fatiche ma mi piace pensare di aver come meta l’unità, che forse non si realizzerà totalmente ma sarà un buon obiettivo da portare con me anche in futuro.




Arriva Pasqua
e la nostra gioia è grande:
il sepolcro vuoto, non più luogo di morte,
diventa il simbolo di una Vita nuova
che vede la luce laddove sembra regnare solo il buio.
Che in quell’alba di giorno nuovo, anche noi,
insieme con Maria e i discepoli,
finalmente possiamo credere che,
aldilà della sofferenza e del dolore,
dentro il grido di disperazione di molti,
ci sono la Vita e la speranza.

Che noi tutti oggi possiamo sentirci amati
nella certezza di non essere soli!


Felice Pasqua!