giovedì 19 dicembre 2013

Cercando di aprire nuovi cammini

Tra ottobre e novembre si sono svolte le due tappe di formazione che, con la Pastorale carceraria, abbiamo pensato per gruppi di persone della parrocchia disponibili a visitare i parenti dei detenuti.
È stata una sfida: da un lato la necessità di fornire un appoggio a madri, padri, figli, fratelli che, insieme ai propri familiari, vengono “incarcerati”, isolati nel preconcetto, nell’abbandono da parte della società e delle istituzioni, dall’altro il desiderio di alcune persone di poter aiutare la Pastorale a fare qualcosa per queste famiglie che spesso sono “il vicino di casa”, il “figlio della mia amica”, il “papà del compagno di scuola”.
Il risultato è stato un mini-ciclo di due incontri durante i quali è stata affrontata la tematica del carcere, la vita del detenuto, l’azione della pastorale, la situazione drammatica in cui versa il sistema carcerario di São Luis.
La prima cosa di cui ci siamo resi conto è la necessità di abbattere il preconcetto legato al detenuto, alla sua storia nel mondo nel crimine, lo stigma cha accompagna le famiglie, incolpate in prima istanza di essere la causa del comportamento del figlio o del marito.
Un altro fatto balzato subito agli occhi è che la popolazione sente il desiderio, direi la necessità, di parlare di “Pedrinhas” (il complesso penitenziario di São Luis) di quello che succede al suo interno, delle sue vicende tanto tragiche e famose. In nemmeno dodici mesi più di quaranta morti violente all’interno delle carceri, svariati tentativi di fuga, il rinforzarsi della divisione in fazioni violente e l’intensificazione delle relazioni esterno-interno per quel che riguarda, soprattutto, la gestione del traffico di droga e della vita del crimine cittadino. Il tutto pubblicato sui giornali in maniera sensazionalistica, senza nessuna intenzione di creare una reale opinione pubblica o sensibilizzare sull’argomento.
La gente ha paura: questo è il dato di fatto. Il dieci di ottobre, per esempio, la città ha passato alcuni momenti di panico quando si è sparsa la notizia che, in concomitanza ad alcune confusioni dentro il carcere, nelle strade le stesse gang stavano creando disordini tra la cittadinanza, con assalti e furti. Cosa sia successo nei fatti nessuno ha piena conoscenza: quello di cui la popolazione si è resa conto è l’esistenza di una stretta connessione tra i gruppi organizzati dentro e fuori del carcere.
La reazione a questi fatti, generalmente, è quella di una ulteriore chiusura nei confronti della realtà penitenziaria: “bisognerebbe rinchiuderli tutti e bruciare il carcere”, “a Pedrinhas va solo chi non vale nulla”, “vivono meglio rispetto a come meriterebbero”. Ed è con queste provocazioni che abbiamo cominciato i nostri incontri: da quello che la società pensa e dice rispetto a questa realtà, per stimolare un primo confronto tra i partecipanti, una discussione che sollevasse, innanzitutto, le domande, i dubbi, le impressioni.
Nei due incontri abbiamo, quindi, cercato di conoscere meglio l’attività della Pastorale Carceraria, la parte spirituale così come l’azione che l’agente di pastorale svolge all’interno del carcere e con le famiglie. Essenziale l’intervento di alcuni militanti nei Diritti Umani che ci hanno aiutato a capire meglio cosa stia succedendo dentro il sistema penitenziario maranhense: i diritti non rispettati, le condizioni disumane in cui spesso i detenuti vivono, la realtà umiliante della perquisizione vessatoria a cui sono sottoposti i parenti nei giorni di visita. E hanno stimolato, in questo modo, una riflessione su quale sia la responsabilità del cittadino in tutto questo.
L’invito è stato di visitare e accompagnare le famiglie dei detenuti molto spesso rese fragili e impotenti di fronte alle istituzioni nella difesa dei propri diritti e di quelli dei propri parenti. Il primo fondamentale passo è quello di considerare il detenuto quale portatore di diritti e ripensarlo in maniera diversa, come una persona che, oltre al crimine e all’errore commesso, ha una storia, una famiglia, dei sentimenti, un futuro. Il secondo è la ricerca delle istituzioni atte a difendere questi diritti e garanti della giustizia: occorre buona forza d’animo per non scoraggiarsi e lasciare che le ingiustizie continuino impunite (solo per fornire un dato generale: più della metà dei detenuti in tutto il Brasile sono in attesa di giudizio a volte da mesi e anni, i processi dimenticati e abbandonati, con il risultato di carceri sovrappopolate, con persone che stanno scontando un tempo della pena molto maggiore rispetto a quello che la giustizia preverrebbe).
Interessante, alla fine degli incontri, ascoltare le opinioni dei partecipanti e notare come alcuni preconcetti già cominciavano a cadere, alcuni giudizi erano cambiati: conoscere meglio una realtà ci aiuta, spesso, a creare un’opinione personale al riguardo. Ci rende, probabilmente più “persone”.
Insieme ad alcuni abbiamo già cominciato a fare le prime visite domiciliari con la consegna del libretto che spiega i diritti della persona detenuta e illustra alcuni aspetti della legge penale riguardanti il periodo di detenzione: un inizio per cominciare ad avvicinarsi e dimostrare sostegno e vicinanza.
Una buona collaborazione della Pastorale carceraria, inoltre, sta nascendo con l’Ouvidoria della Defensoria Publica (Ufficio Relazioni con il Pubblico dell’organo deputato a fornire la difesa d’ufficio): sta cominciando, infatti, ad incontrarsi un piccolo gruppo di parenti ed amici di detenuti con l’intenzione di formare un’associazione riconosciuta che possa avere voce di fronte alle istituzioni, nel tentativo di ottenere miglioramenti e sensibilizzare rispetto all’argomento.
L’intenzione del gruppo, inoltre, è anche quello di fornire un appoggio: al momento sono state svolte piccole azioni di fronte ai presidi durante i giorni di visita con la consegna di materiale informativo e biglietti di auguri natalizi.
Il cammino ancora è lungo ma noi continuiamo a credere che le cose possano e debbano cambiare: non possiamo smettere di indignarci di fronte a quello che sta succedendo ogni giorno dentro e fuori i nostri presidi. Non possiamo dimenticarci dei tanti giovani detenuti nelle carceri brasiliane abbandonati nelle peggiori condizioni umane e fingere di non sapere che una “volta fuori” torneranno a commettere crimini molto peggiori di quelli per i quali sono stati condannati. Non possiamo lasciare che madri e figli piangano la morte di mariti e padri assassinati dai compagni di cella per supposte rivalità tra fazioni armate.

Semplicemente non possiamo…